Nei primi giorni di scuola, soprattutto all’inizio dei cicli di istruzione, un’attività a cui gli alunni dedicano particolare attenzione è la scelta del posto in cui sedersi o quella del compagno e della compagna con cui condividere il banco. Di solito sono scelte subordinate anche a valutazioni preventive o contingenti degli insegnanti, oltre che vincolate al tipo di banchi disponibili (singoli o da due posti) e alla conformazione dell’aula, che può più o meno limitare le disposizioni possibili.
In psicologia ambientale, la disciplina che studia le reazioni psicologiche agli ambienti fisici, esiste da alcuni decenni un interesse scientifico per l’influenza che la disposizione dei banchi può avere sui processi di apprendimento, sullo sviluppo cognitivo ed emotivo individuale e sui comportamenti in classe nella scuola primaria e secondaria.
In sostanza, chi studia questo tipo di effetti cerca di comprendere se e come diverse disposizioni dei banchi possano favorire determinate attività didattiche e sociali, incentivare alcuni comportamenti, e migliorare l’interazione tra alunni e con l’insegnante.
I risultati delle ricerche, indicano, in generale, che non esiste una disposizione dei banchi preferibile in assoluto rispetto alle altre. Ognuna presenta vantaggi e svantaggi in rapporto al compito richiesto e all’obiettivo didattico perseguito. È un fatto peraltro noto agli insegnanti, che nella pratica dimostrano di tenerlo in considerazione quando distanziano i banchi durante le esercitazioni individuali, per esempio, o quando raggruppano più banchi per favorire attività di gruppo.
Le disposizioni dominanti in più parti del mondo sono sostanzialmente due: quella tradizionale, in cui i banchi – singoli o doppi – sono ordinati in file e colonne di fronte alla lavagna e a una cattedra, e quella con i banchi raggruppati e attaccati come a formare delle “isole”.
In Italia sia i dati che la letteratura scientifica sono carenti rispetto ad altri paesi, probabilmente per ragioni storiche, e in generale per una minore inclinazione a sperimentare disposizioni dei banchi alternative rispetto a quella tradizionale. Una maggiore flessibilità nella strutturazione degli ambienti destinati alla formazione, in modo da aumentare la quantità di «spazi polifunzionali e modulari», è però tra le indicazioni dell’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (Indire), un ente di ricerca del ministero dell’Istruzione che sostiene varie iniziative per il miglioramento della scuola.
Durante la pandemia il piano scuola del ministero dell’Istruzione propose provvisoriamente «una rimodulazione dei banchi, dei posti a sedere e degli arredi scolastici, al fine di garantire il distanziamento interpersonale di almeno 1 metro, anche in considerazione dello spazio di movimento». L’applicazione del piano fu in parte complicata sia dalla mancanza di spazi sufficienti in molte aule, sia dalle difficoltà a reperire banchi monoposto.
“Nell’esperienza di alcuni professionisti che fanno ricerca nelle scuole la disposizione in file e colonne di banchi a due posti (o due banchi monoposto affiancati) è ancora oggi la più diffusa,- dice Francesco Sulla, ricercatore in psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione all’Università di Foggia –“. Insieme alla professoressa di psicologia dell’Università di Parma Dolores Rollo e alla psicologa clinica Veronica Jotta, Sulla è tra le altre cose autore di un articolo del 2016 sugli effetti della disposizione dei banchi sui comportamenti e sulle attività in classe, osservati in nove scuole elementari e cinque scuole medie in tre diverse città italiane (Cremona, Crotone e Parma).
Dalla loro ricerca emerse che la disposizione dei banchi più utilizzata nelle classi in generale (64,5 per cento) e largamente più utilizzata nelle classi di scuola media (87,3 per cento) era quella tradizionale, composta cioè da più file di banchi da due o tre posti ognuna.
La seconda disposizione più utilizzata (15,5 per cento), soprattutto alle elementari (29,1 per cento), era a banchi singoli staccati l’uno dall’altro e disposti in file o sparsi per la classe.
Altre disposizioni meno diffuse erano: a gruppi di più banchi affiancati; a ferro di cavallo attorno alla cattedra; e a file orizzontali, composte da banchi uniti.
Una serie di test condotti nelle classi mostrò che in termini di comportamenti on-task degli studenti – cioè comportamenti appropriati, aderenti alle richieste dell’insegnante – non c’erano differenze significative tra le diverse disposizioni dei banchi. Il più alto livello medio di comportamenti appropriati fu però riscontrato con la disposizione a banchi sparsi, nelle scuole medie, e con la disposizione a ferro di cavallo, nelle scuole elementari.
Nei casi osservati, stando a quanto detto dagli insegnanti, la disposizione tradizionale e quella a banchi sparsi erano usate perlopiù con l’obiettivo di ostacolare le interazioni indesiderate tra gli studenti ed evitare così interruzioni delle lezioni. Tra le ragioni che limitavano le possibilità di provare disposizioni alternative alcuni insegnanti indicarono la numerosità degli alunni nelle classi e la necessità di rispettare le normative sulla sicurezza (nello specifico, il bisogno di mantenere sempre libere le vie di fuga in caso di emergenza). Rispettare quelle leggi è peraltro uno dei motivi logistici che rendono più complicata anche la ricerca.
Un altro motivo è che per condurre studi sperimentali rigorosi, i cui risultati possano essere generalizzati, spiega Sulla, servirebbero interventi dei ricercatori in parte più invasivi: spostare provvisoriamente di classe o di scuola gli studenti, per esempio. Queste interferenze, oltre che più difficili da accettare per dirigenti e insegnanti, finirebbero per alterare la normale e peculiare «cultura di classe» che è alla base delle relazioni all’interno di ogni gruppo.
È detta T zone, o anche action zone, perché dall’alto sembra appunto una T, ovvero gli alunni sono distribuiti per tutta la prima fila di banchi e lungo tutta la colonna di banchi centrale. La buona condotta è probabilmente correlata al controllo che l’insegnante esercita sugli alunni, volontariamente o meno, passando vicino a quella zona con maggiore frequenza rispetto alle parti esterne.
Sia le conoscenze sulla T zone, sia quelle sull’efficacia di particolari disposizioni dei banchi a seconda delle necessità, possono essere utilizzate per migliorare l’attenzione degli alunni, o le loro interazioni. Ma nella pratica i fattori tenuti in considerazione dagli insegnanti per la disposizione dei banchi, come anche per la formazione delle coppie di alunni, sono molteplici e vari.
“Oltre alla necessità di limitare i problemi di comportamento, in generale cambiare di posto gli individui o raggrupparli secondo vari criteri può rispondere al bisogno di facilitare o inibire determinate dinamiche relazionali tra compagni, o di migliorare i processi di apprendimento di gruppo” – Spiega la ricercatrice Valentina Tobia, che insegna psicologia dello sviluppo all’Università Vita-Salute San Raffaele a Milano.
“Uno dei criteri noti di raggruppamento nelle classi prevede di mettere insieme individui simili per abilità in modo da permettere agli insegnanti di differenziare più facilmente la didattica in base alle abilità del gruppo. Nella letteratura scientifica è un criterio effettivamente associato a un impatto positivo nei risultati del gruppo con maggiori abilità, ma è anche molto criticato perché tende a produrre svantaggi nell’apprendimento di bambini e bambine con abilità inferiori”.
Un altro criterio di raggruppamento prende in considerazione le relazioni esistenti o possibili tra compagni, partendo dal presupposto che sedersi vicini permetta ai bambini e alle bambine di conoscersi meglio.
Alcuni studi hanno dimostrato che, se sistemati come compagni di banco, bambini o bambine che all’inizio dell’anno scolastico non si piacciono finiscono per starsi reciprocamente più simpatici, mentre la distanza fisica può invece essere d’ostacolo alla formazione di amicizie.
Un articolo pubblicato nel 2020, insieme al ricercatore Ferdinando Fornara e alle ricercatrici Simona Sacchi, Veronica Cerina e Sara Manca, Tobia analizzò gli effetti di due diverse disposizioni dei posti in classe – a banchi singoli sparsi e a gruppetti (cluster) – su diversi tipi di compiti cognitivi assegnati a bambini e bambine nella scuola primaria. I risultati confermarono in parte precedenti ricerche secondo cui la capacità di risolvere compiti individuali basati sul ragionamento logico è maggiore quando la disposizione è a banchi singoli sparsi.
Gli effetti riscontrati nella ricerca variavano però anche a seconda di alcune caratteristiche degli alunni, tra cui il genere e la solitudine degli individui. Le prestazioni cognitive relative alle competenze sociali – cioè la capacità di attribuire agli altri alunni credenze, intenzioni, emozioni e desideri, anche diversi dai propri – erano migliori tra le bambine che tra i bambini, per esempio. Che è un risultato peraltro coerente con studi di psicologia che indicano un vantaggio femminile nello sviluppo infantile e adolescenziale delle competenze sociali.
La disposizione a banchi singoli sparsi era associata a risultati migliori anche e soprattutto tra gli individui considerati più solitari, sia nelle competenze sociali che nei compiti di creatività. Una delle ipotesi di spiegazione di questo fenomeno è che a condizionare i risultati fosse la loro tendenza a essere ipervigili verso le possibili minacce sociali provenienti dall’ambiente. In generale è possibile che lo siano ancora di più quando sono più vicini ai loro coetanei.
D’altra parte, la vicinanza ai coetanei può in alcuni casi essere sfruttata dagli insegnanti proprio per indurre gli individui più solitari a sviluppare la capacità di autoregolazione dei livelli di ansia e di paura del rifiuto. È noto che gli accoppiamenti in banco possono anche influenzare la popolarità percepita “tra pari”, che negli studi sulle relazioni interpersonali è generalmente definita come il grado in cui un bambino o una bambina piace al gruppo di compagni.
Uno studio del 2015 su alunni di quinta elementare e di prima media mostrò che quando i bambini o le bambine si siedono vicino a un compagno di classe tendono a percepirlo come più popolare, e sono a loro volta percepiti come più popolari.
Le decisioni riguardo ai raggruppamenti degli individui e alla gestione dell’ambiente fisico dell’aula possono avere un impatto sui processi di apprendimento e sullo sviluppo delle varie competenze dei bambini e delle bambine, anche in relazione al tipo di compiti assegnati.
Sia secondo Sulla sia secondo Tobia:
“ Comprendere meglio questi fenomeni – anche attraverso ricerche più numerose e approfondite – potrebbe permettere agli insegnanti di organizzare meglio gli spazi, di strutturare meglio la didattica e di promuovere dinamiche sociali positive nelle classi”.